mercoledì 13 maggio 2020

Un poco di storia

Già nell’antica Roma, due secoli prima della nascita di Cristo, Marco Porcio Catone scrisse il primo manuale pratico di coltivazione. Altri lo seguirono, magari dissertando di semine e di concimazioni in versi, come Virgilio, o fingendo di dialogare con un interlocutore interessato ai problemi agricoli, come Marco Terenzio Varrone. È stupefacente che in tempi così antichi gli uomini, privi di qualsiasi possibilità di controllare scientificamente quanto empiricamente svolgevano nei campi, inventassero tecniche che oggi ancora applichiamo quasi senza alcuna modifica. Gli antichi sapevano come riconoscere la qualitàdel terreno e come correggerla e conoscevano la pratica delle rotazioni: «la terra, mutando frutti, si riposa», si legge nelle Georgiche trent’anni prima di Cristo. E nel 200 a.C. Catone diceva: «Qual è la prima opera per coltivare la terra? arare; e la seconda? arare; e la terza? concimare». Peccato che a quei tempi i coltivatori troppo spesso si lasciassero fuorviare dalle credenze più strane, ciechi a quanto di persona potevano constatare. Accanto a norme tecniche quasi perfette sulla coltivazione del carciofo, si può, per esempio, trovare questo consiglio: interrare i semi di varietà con le spine, avvolti ciascuno in un pezzetto pezzetto di foglia di lattuga, allo scopo di raccogliere carciofi senza spine. Una lezione però impararono presto e tramandarono ai posteri: “la nostra inerzia isterilisce i campi”. Gli stessi autori latini ci danno notizie delle piante da orto coltivate, per esempio la fava era considerata un ingrediente fondamentale nella preparazione della puls fabata, termine forse di derivazione etrusca che indicava la polenta, o per le farratae (farinate) citate da Giovenale (Satire XI, 109) e considerate il piatto tradizionale degli Etruschi. Conosciuti e coltivati erano anche i piselli,piselli, le lenticchie e i ceci, tanto che i nomi di molte famiglie romane sono di evidente derivazione: Fabius da faba (fava) o Cicero da cicer (cece). Altre specie ortive sicuramente coltivate erano l’aglio, la cipolla, le carote, le rape, i cavoli e il finocchio, ma anche (già presenti in epoche più remote) le lattughe e vari germogli, come sedano e asparagi, provenienti da piante spontanee. Secondo gli studiosi di etnografia, il primo gradino nello sviluppo dei popoli primitivi, cacciatori e raccoglitori di prodotti spontanei come radici e germogli, è stata certamente l’orticoltura, praticata particolarmente dalle donne in quellezone caratterizzate da clima caldo-umido e su terreni liberati dalla vegetazione arborea e boschiva per mezzo del fuoco. La descrizione delle diverse operazioni colturali e la rappresentazione del lavoro sono però rilevabili solo in epoche successive, soprattutto in quella romana attraverso raffigurazioni murali e manoscritti specifici anche di autori provenienti dalle colonie dell’impero: classico è il De re rustica dello spagnolo Columella.

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